Posta su un lato della Latomia del Paradiso, vi si trova una grotta imbutiforme scavata nella roccia, l’orecchio di Dionisio.
Alta circa 23 metri, larga da 5 metri a 11 metri e profonda circa 65 metri.
Si pensa che la sua forma sia stata scavata dall’alto da alcuni cavatori di pietre che furono costretti a seguire la linea di un antico acquedotto serpentiforme presente il quel punto.
Ancora oggi, non esistono fonti certe inerenti alla data della nascita di questa grotta conosciuta come “Orecchio di Dionisio”.
Alcuni studiosi pensano che la grotta fungesse da cassa armonica per il Teatro Greco, poco distante da lì, durante le varie esibizioni e che in realtà fosse nata solo in un secondo momento rispetto al resto del Parco archeologico della Neapolis.
Prese questo nome, datogli da Michelangelo da Caravaggio nel 1608, proprio per la sua forma ad “S” vagamente simile ad un padiglione auricolare, ma soprattutto per le sue notevoli proprietà acustiche come possiamo verificare ancora oggi al suo interno, in quanto i suoni si amplificano fino a 16 volte.
Le caratteristiche della grotta diedero forza alla leggenda Cinquecentesca secondo la quale Dionisio, (militare, tragediografo e tiranno di Siracusa) avesse fatto costruire questa grotta per essere utilizzata come prigione, all’interno della quale vi rinchiudeva i suoi prigionieri, ascoltando da un’apertura posta in alto (ancora oggi visibile) i loro possibili piani di fuga, in quanto le loro parole venivano ingigantite dall’eco che questa grotta crea.
Secondo le ricostruzioni del filosofo e scrittore romano Eliano, Dionisio vi avrebbe imprigionato il poeta Filosseno, accusandolo di non aver apprezzato le sue opere letterarie.
Nel 1770 visitò la grotta il pittore e architetto francese Jean-Pierre Houël, nonché uno dei più famosi viaggiatori del Grand Tour (Viaggio europeo), eseguendone una serie di opere. Nelle sue descrizioni egli parlava di come, in questa grotta, si eseguissero le prove per testarne l’acustica, soffiando all’interno di un corno, sparando un colpo di arma da fuoco o battendo su un tamburo.
Ma è la leggenda del luogo e la sua storia ad affascinare tutti i turisti che vengono a visitare questo luogo.
Egli scrisse ne la “Veduta esterna della grotta chiamata Orecchio di Dionisio” come segue:
«Mirabella, nato a Siracusa e autore di una storia della città, c’informa che questa grotta, chiamata Orecchio di Dionisio, in origine era una cava come le altre designata con il nome di “Piscidina”. Ci racconta che vi si rinchiudevano prigionieri importanti durante il regno di Dionisio e che il carceriere mettendosi in un certo punto del cunicolo, a loro insaputa, riusciva ad ascoltarne i discorsi anche se parlavano a voce bassa, per l’effetto straordinario di un’eco prodotta dalla forma della grotta. Una volta al corrente dei loro segreti, li riferiva a Dionisio. Questo è quanto si racconta, ma anche la forma appuntita della grotta, forse, ha contribuito a darle il nome di orecchio da cui poi è nata la leggenda. Fuori, all’imboccatura del cunicolo, doveva essere una scala che conduceva al di sopra della rupe, dove si trovavano le costruzioni che completavano gli alloggi della prigione, di cui la grotta era la segreta. In questo Orecchio o “Piscidina”, il tiranno Dionisio rinchiuse il filosofo Filosseno, verso cui aveva mostrato tanta amicizia, perché non aveva lodato i suoi versi.»
Nel 1625 lo scrittore e viaggiatore Pietro Della Valle visitò l’Orecchio di Dionisio rimanendone estasiato, in merito alla grotta ed in una delle sue opere scrisse come di seguito:
«Vedemmo l’eco artificiale che dicono essere stato fatto fabbricar da Dionisio in una prigione, dove teneva molti schiavi, perché si sentisse ciò ch’essi colà dentro parlavano; e parmi, se non fallo, che di tal fabbrica fosse artefice Archimede. È in vero una delle più belle cose ch’io abbia visto al mondo, ed anche degli artifizii che l’arte abbia saputo inventare, imitando così bene la natura che fa un eco bellissimo che replica le parole ed i detti interi, imita i suoni e i canti perfettissimamente, come alla presenza nostra con diversi instromenti si provò; e se si batte con una verga qualche panno grosso steso, rende tanto rimbombo ch’imita i colpi delle più grosse artiglierie; e che tutto questo faccia cosi bene una grotta formata non dalla natura, ma dall’artificio umano, è certo cosa strana e mostra il grandissimo ingegno di colui che l’inventò e lo seppe fare. Non è da tacere che la fabbrica del concavo di questa grotta è fatta e cavata appunto nella forma del concavo d’una orecchia umana, donde l’artefice debbe pigliar l’invenzione che, come la voce percotendo nell’orecchie fabbricate in quel modo rende suono e si sente, cosi si vede per isperienza che percotendo colà in quel grande ed artifizioso orecchio, intagliato a mano nella dura pietra, fa il medesimo effetto di rendere il suono, benché gli altri echi naturali non sappiamo che siano in caverne in tal modo fabbricate. Vedemmo presso al luogo dell’eco i gran vani sotterranei cavati per stanza e prigione dei sopraddetti schiavi, e sopra quelli, nell’alto il luogo del palazzo di Dionisio in bellissimo sito che scuopriva da lunge la terra e ‘l mare.»
Lo scrittore e storico dell’arte francese Dominique Vivan Denon, visitando anch’egli la grotta, volle verificare di persona la veridicità della leggenda secondo cui Dionisio ascoltasse i discorsi dei prigionieri, ma comprese che la sovrapposizione di suoni rende l’ascolto del tutto confuso:
« È vero che nella famosa grotta vi è una piccola camera, all’abside della volta, dove, si dice, che l’ascoltatore venisse a piazzarsi. […] Decisi dunque di farmi aiutare a salire nella camera. Ci riuscii non senza fatica ed ecco qui ciò che vidi: una camera lunga dieci piedi e sei pollici su quattro piedi di larghezza che si andava restringendo fino a due piedi e dieci pollici, […] mi misi dapprima all’ingresso della grotta. Finché vi fu solo una persona che parlò in tono normale, la sentii distintamente in qualunque punto della grotta si trovasse, nel medesimo modo in cui l’avrei sentito da giù. Quando parlò a voce bassa, quasi segretamente, sentii un sussurro e niente di articolato; e quando due persone parlarono contemporaneamente, percepii soltanto un brusio di suoni discordanti e confusi che non lasciavano distinguere parola alcuna. »
Anche il drammaturgo e poeta francese Guy de Maupassant durante la visita a Siracusa racconta del monumento nel “Viaggio in Sicilia” scrivendo come segue:
«In una, la Latomia del Paradiso, si osserva, in fondo ad una grotta, una strana apertura, chiamata l’orecchio di Dionisio, il quale veniva ad ascoltare vicino a questo buco, così almeno dicono, i lamenti delle proprie vittime. Circolano pure altre versioni. Alcuni eruditi pretendono che la grotta, messa in comunicazione col teatro, servisse da sala sotterranea per le rappresentazioni cui prestava l’eco della sua prodigiosa sonorità; i minimi rumori, infatti, vi assumono una sorprendente risonanza.»
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