Il centro storico di Siracusa è rappresentato dall’isola di Ortigia, la cui veste architettonica è prevalentemente settecentesca a causa del terremoto del 1693 che distrusse quasi tutte le costruzioni precedenti. La pianta urbanistica di Ortigia deriva da una pianificazione greca, modificata poi nel corso dei secoli in base alle esigenze del tempo.
Si sviluppa sull’intersecazione dei due assi principali: la prima da nord a sud dal Tempio di Apollo, attraverso via Dione e via Roma, e la seconda trasversale a questa da est a ovest, da via della Amalfitania e via della Maestranza.
Le diverse zone che compongono l’isola di Ortigia acquisteranno nel tempo una diversa configurazione politica, che ha portato ad una differenziazione di architettura e gestione degli spazi, ma soprattutto ad una diversa destinazione produttiva. Le zone principali, soprattutto a partire dal Medioevo, acquistarono un carattere autonomo sia da un punto di vista culturale e sociale che economico e produttivo e si possono riassumere così:
– la zona nord-est della Giudecca e della Spirduta, rappresenta il quartiere dei pescatori e dei commercianti;
– la zona nord-ovest del quartiere dei Bottari, rappresenta il quartiere degli artigiani;
– la zona sud-est del quartiere della Giudecca, rappresenta il quartiere ebraico;
– la zona sud-ovest del quartiere del Duomo e del Castello, rappresenta il quartiere nobiliare.
I quartieri assunsero diverse destinazioni e denominazioni nel corso dei secoli, a seconda della dominazione del momento, così parte della zona della Spirduta e della Graziella venne chiamata della Mastrarua o in altra epoca si usò il nome della Maestranza, e la zona tra la Giudecca e il Duomo fu anche chiamata Turba.
Spesso i quartieri dei pescatori delle città marittime vengono chiamati con il nome di Graziella, segno di devozione nei confronti della Madonna delle Grazie, alla quale sono dedicate nel quartiere numerose icone, sculture ed edicolette votive.
Come tutti i quartieri di Ortigia ha subito trasformazioni, abbattimenti e aggiunte, attraverso i secoli. Più degli altri quartieri, la Graziella e la Spirduta hanno subito le distruzioni della conquista araba, senza beneficiare della riorganizzazione urbanistica che effettueranno in seguito i conquistatori normanni e aragonesi. Conserva ancora un chiaro tessuto urbanistico di matrice islamica, a strade strette e cortili, il cui affascinante labirinto mantiene tuttora l’originaria funzione di mitigare la calura e la violenza dei venti.
Qui risiedeva la bellezza della Siracusa araba del XIII secolo quando, attorno allo scomparso castello Marieth, sorgevano bagni, moschee e mercati della celebre ceramica maghrebina. L’islam è rimasto presente nella cultura locale: sopravvivono alcuni metodi arabi di pesca, forme linguistiche e ricette gastronomiche, come il famoso timballo, il cui nome deriverebbe dall’emiro siracusano Tummah.
La Graziella ricopre un’area triangolare tra via Resalibera, via Dione e via Vittorio Veneto.
Il tracciato delle strade minori è tortuoso e ricco di diramazioni, che si sviluppano in ronchi e cortili.
Anche il sistema dei ronchi, piccole strade a fondo cieco interrotte dalle costruzioni, è attribuito alla cultura araba e si è conservato soprattutto nell’area est di Ortigia. Probabilmente venivano utilizzati per ottenere maggiori spazi di intimità domestica all’esterno degli alloggi, spesso piccoli, umidi e privi di luminosità. Il ronco diventa quindi prolungamento e parte stessa della casa, come spazio necessario all’espressione della vita quotidiana e ai contatti sociali. Era lì che ci si riuniva per rammendare le reti.
Questa intimità e familiarità è ancora palpabile passeggiando tra i ronchi della Graziella, sorpassando le porte aperte delle abitazioni per dare luce e aria alle case, ascoltando i vicini discutere tra loro.
Il ronco siracusano è di tre tipi: ricavato nel cortile di una precedente costruzione, quindi corto e largo e ben illuminato; breve e lineare, per cui molto stretto e umido e poco illuminato; lungo e tortuoso, più largo e arioso, caratterizzato da diramazioni che immettono in cortili interni o portano a costruzioni di sbarramento. Questa struttura disordinata è nata e si è sviluppata senza alcuna regola, in modo spontaneo e trascurando la funzionalità, ma rappresenta il fascino del quartiere.
La Graziella ha subito diverse trasformazioni urbane, alcune particolarmente significative.
L’incremento delle architetture difensive ha portato alla distruzione di alcune contrade intorno al Tempio di Apollo e alla costruzione della torre Casanova nel luogo indicato come Talèo, oggi chiamato Talete. La stessa area è stata nuovamente modificata sotto il dominio borbonico con la costruzione del carcere centrale e della Palazzata di via De Benedictis, che implicarono la demolizione delle case della contrada Bagnara.
Lo sventramento più incisivo è stato effettuato negli anni trenta, durante il regime fascista, con la realizzazione di via del Littorio, oggi Corso Matteotti, che ha portato alla distruzione di quattro interi isolati dell’antica città medievale.
Il quartiere della Spirduta è delimitato a nord dal quartiere dei pescatori, a est da via Gargallo, a ovest dai Bottari ed è chiuso a sud da via della Maestranza.
Ha avuto una destinazione sia commerciale che residenziale, che gli conferisce un aspetto ibrido ed insolito. Da una parte accoglie bellissime residenze gentilizie, come il Palazzo Gargallo del XV secolo in stile gotico-catalano, con un’imponente scala esterna e un portico arioso; dall’altra abitazioni più piccole e meno interessanti, originariamente con un piano basso adattato a finalità commerciali e il piano superiore destinato ad uso abitativo.
Dopo il terremoto del 1693 anche questo quartiere assunse, come tutto il resto del centro storico, un volto barocco. Gli scempi post unitari e i bombardamenti della seconda guerra mondiale contribuirono a stravolgere la sua immagine medievale.
Anche la Spirduta, come la Graziella, presenta un tessuto urbano intricato e disordinato, tipico dell’organizzazione araba, che contribuisce a renderlo un quartiere altrettanto caratteristico.
Via della Maestranza è ancora oggi la zona più dinamica e attiva di Ortigia e ha mantenuto le condizioni strutturali e funzionali della sua architettura, senza subire le partizioni e trasformazioni che hanno sconvolto molte altre aree. La Maestranza è l’area più rappresentativa, elegante e scenografica dell’isola, con il volto barocco dei suoi edifici nobiliari e la composizione urbanistica che la rendeva asse principale. La sua importanza è dovuta alla funzione di asse di collegamento urbano da est a ovest, seguita dalla sua successiva funzione di strada residenziale con edifici prevalentemente nobiliari. L’architettura ha carattere barocco, a partire dalla ricostruzione successiva al terremoto, ricco di effetti scenografici, forme maestose e decorazioni fantasiose.
Sulle costruzioni quattrocentesche precedenti sorgono i nuovi monumentali edifici, per i quali furono ricercare le pietre più pregiate e gli architetti e gli artigiani più abili.
Con l’insediamento della comunità ebraica la strada assunse la peculiarità che non ha più perduto, residenziale e commerciale al tempo stesso. Le loro attività economiche si sviluppavano tra il quartiere della Giudecca e della Spirduta, per cui via della Maestranza era l’asse centrale che li metteva in diretta comunicazione con il Porto Grande.
L’edilizia si è prestata a questo duplice impiego destinando alle botteghe artigiane il piano basso, caratterizzato da ambienti alti e profondi, e le ampie corti interne degli edifici. Il piano superiore ospitava le residenze delle famiglie più illustri della aristocrazia aretusea.
Visitare via della Maestranza a piedi, con lo sguardo rivolto in alto, vuol dire lasciarsi rapire da emozioni e sensazioni di un’altra epoca.
Va a costeggiare il quartiere della Spirduta, sul lato est che porta al mare, il quartiere della Mastrarua, che prende il nome dalla sua via principale.
Via Mastrarua, attuale via Vittorio Veneto, è stata definita la via maestra per eccellenza dei tempi catalani ed è sicuramente, insieme a via della Maestranza, la strada più bella ed interessante di Ortigia. Erano infatti le due arterie che presentavano la città a sovrani, viceré, uomini d’arme che venivano a Siracusa.
Il suo percorso è lungo e vario e la sua destinazione si è andata differenziando dai limitrofi quartieri della Graziella e della Spirduta, dei quali faceva parte. La Mastrarua con gli spagnoli non fu più strada di pescatori, ma accolse la borghesia dell’epoca, assumendo la funzione residenziale e di rappresentanza ancor prima dell’avvento del barocco.
Restano a testimonianza di questo sviluppo i monumentali palazzi nobiliari con ingressi lussuosi e balconi decorati, trasformati e manomessi nei secoli successivi.
Il primo tratto, da via della Maestranza a via Mirabella, è più largo per consentire il traffico e le manovre delle carrozze. E’ anche la parte che accoglie i palazzi delle famiglie nobiliari di Siracusa, capolavori dell’architettura civile, come il Palazzo Blanco e il Palazzo Interlandi. E’ in questo tratto che si trova anche la maestosa chiesa della Congregazione di San Filippo Neri, con il suo prospetto bianco e luminoso.
La monumentalità degli edifici si riduce, fino a scomparire, nel secondo tratto che va da via Mirabella a largo Forte San Giovannello. Questa parte risulta più simile alla vicina Graziella, con edifici piccoli e bassi, vicoli stretti e bui e disordine architettonico.
Le unità abitative seguono la stessa evoluzione: il cortile interno adatta la propria funzione, da spazio comunitario nel quale si aprono le porte delle minuscole abitazioni, a pozzo luce dei palazzi di maggiori proporzioni.
Il quartiere si sviluppa a est di Corso Matteotti fino alla marina ed è caratterizzato dalle stradine che si incardinano sull’asse principale di via Cavour, la vecchia via dei Bottari.
Fin dal medioevo è stato sede delle botteghe e delle corporazioni dei mercanti di diverse nazionalità, per questo è denominato “quartiere degli artigiani”.
Ha avuto una fisionomia diversa da quella degli altri rioni, economicamente legata alle attività commerciali e artigianali del vicino Porto Grande e della marina, come ci ricorda la toponomastica della zona.
L’attività commerciale era caratterizzata da una forte natura associativa, un legame che univa le maestranze alle corporazioni e alle confraternite, secondo le varie condizioni, arti e mestieri.
Mentre la produzione si incentrava in questa zona, la vendita avveniva ovunque, tra le strade, nelle botteghe, nelle piazze dentro e fuori le mura, in piazza del Duomo e nella zona della marina.
L’alloggio tipico aveva la duplice funzione di residenza e bottega, per cui al piano terra si trovava l’enorme dammuso che serviva da magazzino e da bottega (putia in siciliano), e al piano superiore sorgeva la residenza completamente indipendente, alla quale si accedeva tramite una scala esterna.
Anche ai Bottari molte costruzioni hanno fondazioni ed elementi di pregio risalenti ai secoli XIII – XV, come Palazzo Abela in via Cavour o Palazzo Lanza in via della Amalfitania, che conservano l’originario aspetto esterno.
Al contrario del collegamento urbano a ronchi, tipico dei quartieri della Graziella e della Spirduta, qui gli elementi viari sono vie e vicoli.
La fortuna commerciale di Siracusa sviluppata nel corso del XV secolo ebbe una decadenza nei secoli successivi, divenendo roccaforte militare e quindi impossibilitata a mantenere il suo commercio con l’estero. Le attività commerciali, così come le antiche confraternite e congregazioni di mestieri, andarono a spegnersi e ad abbandonare i locali. Le fortificazioni spagnole contribuirono a condizionare e bloccare lo sviluppo del quartiere dal lato del mare e costrinsero la florida economia siracusana a ripiegare su se stessa in un processo di involuzione.
Dopo il terremoto del 1693 si costruirono edifici barocchi sulle piccole botteghe e sugli antichi dammusi delle numerose confraternite, abbellendo i prospetti delle modeste abitazioni, lontane dal sontuoso barocco, e modificando la struttura del quartiere.
Dal punto di vista architettonico e urbanistico è difficile rintracciare nel tessuto di Ortigia la componente ebraica o quella arabo-musulmana. La comunità ebraica è stata presente a Siracusa fin dai tempi della dominazione romana. Durante l’invasione araba fu consentito agli ebrei di professare il loro culto in libertà.
I normanni diedero una forte battuta d’arresto alla liberalità dei musulmani e miravano all’affermazione del cristianesimo per motivi prettamente politici. Con i nuovi dominatori crebbero i malumori fino a sfociare in veri e propri tumulti.
Nel 1312 Federico II d’Aragona li separò dai cristiani assegnandogli l’ampia zona di Acradina fuori le mura, nei pressi dell’attuale basilica di San Giovanni. All’interno del ghetto gli ebrei avevano i loro servizi e le loro cariche sociali. Vennero così emarginati, offesi e sottoposti a rigide tasse.
Nel 1450 il re Alfonso d’Aragona riconobbe il contributo che la comunità dava alla vita commerciale e artigianale e concesse alla comunità di trasferirsi dentro la città nella zona compresa tra via della Maestranza e via Larga, oggi via della Giudecca.
Dal punto di vista urbanistico il quartiere della Giudecca si sovrappone all’urbanizzazione greca lasciandone sostanzialmente immutato il tessuto viario antico, che aveva diviso Ortigia in quattro quadranti ricavati dall’intersezione delle due assi principali. A loro volta ogni area era ripartita in grandi insulae rettangolari da strade minori.
Qui gli ebrei riutilizzarono le vecchie strutture medievali inserendo i propri servizi e luoghi di culto: la sinagoga, i bagni di purificazione, l’ospedale e le loro botteghe. La sinagoga sorgeva probabilmente nel perimetro dell’attuale chiesa di San Filippo sotto la quale si suppone ci fossero altri bagni di purificazione, come quelli di Casa Bianca in via Alagona.
Nonostante tutto la comunità giudaica godeva di grande floridezza economica. La strada principale di via della Giudecca era piena di botteghe e frequentatissima dagli stessi siracusani che compravano stoffe e pelli. Due ampi slarghi permettevano la sosta e la contrattazione e, attraverso la vicina via della Maestranza, c’era il contatto diretto e immediato con il porto grande.
Tutto il quartiere era caratterizzato dalla numerosa e spesso monumentale edilizia religiosa circostante, che si contrapponeva a quella civile, di dimensioni più modeste, e alle umili abitazioni.
Con le costruzioni ecclesiastiche gli ordini religiosi volevano opprimere il ghetto manifestando la loro egemonia e tamponando lo sconfinamento del ghetto in altre aree.
Il terremoto del 1693 distrusse tutto costringendo i siracusani a operare una quasi totale ricostruzione, sia dell’architettura religiosa che civile.
La Turba è un’area a ridosso del mare, delimitata dal quartiere della Giudecca da un lato e dalla zona del Duomo dall’altro, e si sviluppa a cavallo del secondo tratto di via Roma.
Abbiamo notizie di questa denominazione durante il vescovato di Mons. Giovanni Antonio Capobianco (1649-1673) il quale, in qualità di Vicario del Val di Noto, fortificò Ortigia in diversi punti. Al suo operato si devono gli attuali muraglioni della Turba costruiti con blocchi squadrati di calcare bianco.
Questo settore del centro storico presenta le stesse caratteristiche urbanistiche e strutturali della Giudecca, con piccole abitazioni e senza ronchi e cortili. In questa zona, al contrario della Graziella, le abitazioni non sono proiettate verso l’esterno, ma si chiudono nel loro limitato spazio interno.
Solo dal lato di via Roma il carattere è più ricercato, vicino alle zone nobiliari del centro storico, con abitazioni più grandi e caratteristiche costruttive diverse.
La contrada del Castello Maniace si trova nel punto in cui l’isola di restringe e si protende verso il mare. Il quartiere è compreso da due lati dal mare, da nord da via Capodieci e da sud dal Castello Maniace con le costruzioni militari.
Il quartiere non è caratterizzato da uno strato sociale omogeneo o un’attività di riferimento, ma ha fuso insieme il carattere residenziale, economico – commerciale e militare. La sua architettura non è omogenea e, partendo da profondi ricordi medievali, presenta una stratificazione degli stili che si sono succeduti nel tempo. I palazzi, tra i quali il grandioso Palazzo Bellomo, risaltano per il loro fasto, mentre via del Castello Maniace offre il miglior barocco siracusano. L’edilizia circostante accoglieva la vita artigiana e popolare, difatti tutta la zona aveva un carattere produttivo e commerciale.
L’estremo promontorio era stato probabilmente sfruttato in ogni epoca per accogliere le costruzioni militari. Il Castello Maniace ha fatto sì che la zona divenisse la punta più avanzata del complicato sistema difensivo della piazzaforte cinque-seicentesca. La mole del castello, la batteria a pelo d’acqua, i baluardi erano destinati a suggestionare il visitatore o il nemici che giungevano dal mare.
La piazza del Duomo è il nodo urbanistico di Ortigia, centro della storia, della cultura e dell’arte di Siracusa. Non vi sono stati eventi o vicessitudini che non si siano ripercossi nella piazza, ai quali essa non abbia offerto i propri spazi.
L’area ricoperta piazza del Duomo e via Minerva rappresenta il punto centrale e più elevato dell’isola: qui i primi dati relativi alla presenza umana sono già del periodo neolitico e i primi insediamenti abitativi datano all’età del bronzo. Quest’area costituì il cuore della città greca, di quella medievale e soprattutto di quella barocca, caratterizzata da un’architettura nobiliare frammista ad architettura religiosa.
L’area del Duomo è sempre stata adibita a luogo di culto, dalle capanne in onore delle divinità preistoriche, ai templi greci. La pianificazione urbanistica greca che solcava il suolo di Ortigia con lunghi assi, andava a delimitare e porre in rilievo quest’area sacra, sede delle principali strutture religiose della città.
Su questa grande area si innesta il prospetto della basilica bizantina quando venne rimaneggiato il vetusto tempio greco. Il cristianesimo aveva decentrato per qualche secolo l’attenzione dalla piazza alle colline della contrada Teracati. Nel VI secolo la sede vescovile fu trasferita da quella fuori le mura, troppo esposta alle incursioni dei briganti, all’antico tempio greco, dopo averne apportato gli opportuni adattamenti. In questo modo la presenza ecclesiastica ha perpetuato la vocazione sacrale del sito che supera le culture preistorica, greca e romana per giungere con forza a quella cristiana.
Da questo momento cominciò una lenta e progressiva appropriazione della piazza che nel tempo cambierà aspetto: convergeranno le feste religiose con i carri trionfali, i mercati di merci pregiate, si concentrerà l’edilizia più rappresentativa che consacrerà l’area e la zona circostante a quartiere residenziale per antonomasia.
Il potere aristocratico baronale non poteva sottrarsi alle lusinghe dello sfoggiare la propria ricchezza e tra metà trecento e quattrocento nacquero le migliori realizzazioni dell’architettura aragonese e catalana. Tra il seicento e il settecento la piazza prese la configurazione attuale: vescovi e signori vi promossero la costruzione di chiese e di residenze gentilizie tutt’intorno al Duomo e al Palazzo Vescovile. Per la rinascita architettonica settecentesca furono chiamati ad operare ingegneri, architetti e capimastri di provate capacità, donando alla piazza una forte scenografia d’impatto barocco.